La selva dei dannati (1956) di Luis Buñuel

Siamo alla fine del periodo messicano del maestro spagnolo, che si avvicina al suo periodo più florido e apprezzato e al ritorno in Europa.

La trama in breve
Sud America, in un paesino scoppia una rivolta a causa delle violenze dell’esercito, nel frattempo nel paese è arrivato un bandito che viene arrestato.L’esercito risponde alla sommossa con violenza, ma un gruppo di persone riesce a scappare su un battello: il bandito, la prostituta che lo ha fatto arrestare, un ricco uomo francese con la figlia sorda, un prete e il proprietario del battello che ha fatto la spia proprio contro il bandito; si ritroveranno a dover sopravvivere nella giungla, dove la natura metterà alla prova la loro resistenza.
Inizia come un film d’avventura, direi quasi un western e già nella prima fase ,per niente banale, c’è un’attenta analisi della società: la violenza, le classi sociali, un paese di disgraziati senza possibilità di salvezza. Buñuel si scatena, ma lo fa rileggendo il genere, perché nella prima fase con la guerriglia in strada e il formarsi poi di un gruppo molto particolare di individui, il film sembra essere il precursore anche di molto cinema di genere anni Sessanta e Settanta.
Buñuel nella prima fase ci mostra i personaggi: un sordido prete, sempre al soldo del potere e pieno di ipocrisia, un bandito molto coerente con il suo personaggio, un anziano ricco che alimenta la rivolta per poi volersi tirare indietro, e la bella e cinica prostituta che, come i ragazzini de I figli della violenza, si è adeguata alla società in cui vive.

La seconda fase invece ci porta in un territorio non facile, dove il maestro spagnolo si trova ancora più a suo agio e allora il gruppo diventa affiatato, avendo come unico obbiettivo la salvezza, e le divergenze vengono messe da parte. Il bandito e il prete si scontrano sempre ma capiscono, anche grazie al potere e alla forza inaudita della natura, che possono solo collaborare; non conta più il passato e le differenze di cultura, in quel frangente l’anziano sembra essere il meno preparato alla situazione ma continua ad essere il personaggio più subdolo del gruppo, quello più inaspettato, interpretato splendidamente da un grande Vanel.
La scoperta di un aereo precipitato nella giungla, e quindi l’aver trovato cibo e oggetti di valore, riporterà i protagonisti alle loro pulsioni più consuete, l’unione sarà facilmente disgregata e i ruoli torneranno a dominare i personaggi, anche se con molte sorprese; l’avidità e il potere faranno nascere nel gruppo uno scontro mortale.
Nella giungla Buñuel ci mostra la società, un gruppo di persone molto diverse tra loro che devono sottostare e collaborare, ma la società non può che risucchiarli nella sua violenza, nella sua ingordigia e allora gli individui vengono trasformati e le loro pulsioni sessuali e di violenza si scatenano.

Buñuel con i suoi sceneggiatori è feroce come sempre e si scaglia ancora contro lo stesso bersaglio che è la società dei finti bisogni, mostrandoci fin da subito uomini alle prese con un ruolo a cui è difficile scampare, perché imposto, anche se alcuni personaggi sembrano calzare al meglio il proprio ruolo, come il prete, interpretato dal solito gigantesco Piccoli. La natura riporta questi individui ai bisogni essenziali, pre-capitalistici, in un frangente in cui il maestro sembra essere in parte “positivo”, ma con pochi oggetti: cibo, gioielli, tutto cambia, tutto torna all’orrore della normalità.
È bello notare come un maestro assoluto della storia del cinema, qui poco onirico ma sempre politico, riesca ad essere nello stesso film molto vicino alla cultura, quella con la C maiuscola, dei film impegnati, ma anche ai film di genere; nella prima parte, anche grazie ad una fotografia magnetica e bellissima, ci mostra un pezzo di genere da far impallidire gran parte del cinema di genere moderno.
Nel cast vanno ricordati anche Simone Signoret, sempre affascinante e Georges Marchal, che è eccellente nel ruolo del bandito.
Alto e basso, genere e dramma sociale, politica e sparatorie, più anime e più generi confluiscono in questo gioiello di metà anni Cinquanta che, seppur considerato un film minore, in una filmografia eccezionale, rimane un esempio di come i grandi maestri siano in grado di innescare il loro cinema, le loro tematiche sociali, politiche e complesse nell’ambito di qualsiasi genere, superando e azzerando i confini imposti da una certa idea miope di cinema.
Il maestro Buñuel realizza un film ricco di trovate: energico, sociale, spietato e cattivissimo, con un finale che anticipa il Buñuel anni Sessanta e le sue visioni più geniali; una pellicola da riscoprire.

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