Joe (2013) di David Gordon Green

Il film presentato alla Settantesima Mostra del cinema di Venezia ha permesso a Tye Sheridan di vincere il   Premio Marcello Mastroianni. La giuria ha scorto un talento e un’ottima prova d’attore nell’allora diciassettenne Sheridan, che oggi è diventato un attore popolare, impegnato in grandi produzioni.

La trama in breve

Gary Jones ha quindici anni e un padre alcolista che lo picchia. Costretto a cambiare paese con la madre e la sorella per le intemperanze del genitore, il ragazzo arriva in una cittadina del Texas deciso a trovare lavoro e a proteggere la parte sana della sua famiglia. Assoldato da Joe Ransom, un uomo generoso con i deboli e aggressivo con gli arroganti, Gary trova pace e consiglio al suo fianco. Ex detenuto con il vizio della birra e delle belle signore, Joe è noto alla polizia e inviso a un vecchio rivale che non smette di provocarlo rivelandone la natura collerica. Natura che sembra acquietarsi davanti allo sguardo azzurro e pulito di Gary, che non smette di provarci e di sognare un futuro migliore. Accomunati dallo stesso cuore, crescono insieme, tra abeti ‘avvelenati’ e dentro un pick-up. Ma il mondo fuori non smette di tormentarli e di chiedere loro il conto.

Joe sceneggiato da Gary Hawkins a partire dalla storia omonima di Larry Brown del 1991, è il nono lungometraggio del regista natio di Little Rock; Green nella sua carriera ha affrontato con disinvoltura tutti i generi, recentemente ha omaggiato e allo stesso tempo ridato vita alla mitologica saga di Halloween. In questo caso affronta un testo molto interessante e seguendo la storia con una regia lineare, ma non priva di momenti pieni di forza visiva, ci immette in un’America rurale che ci appare brutta e oscura.

Il film è popolato, quasi totalmente, da uomini violenti, reietti, ubriaconi, ma in questo scenario l’incontro tra l’ex detenuto Joe e il ragazzo Gary, è il motore di tutta la vicenda; pur sapendo, fin dalla prima scena, che per altro è di grande forza e denota fin da subito le doti registiche, dove il film andrà a parare, in questo tragitto di quasi due ore si intravede molta onesta.

Joe è un uomo che cerca redenzione, a modo suo, senza trovarla, che vorrebbe abbracciare una paternità mai avuta prima, ma allo stesso tempo non resiste e si continua a mettere nei guai; Gary è l’uomo del film, è il più saggio e sa come comportarsi, il suo obbiettivo e rendersi indipendente e aiutare la madre e la sorella, salvandole dalla violenza del padre.

In questa guerra tra poveri, in una cittadina non precisata del Texas, dove è possibile incontrare solo ubriaconi, prostitute e criminali vari, i due protagonisti, una coppia già vista, ma non per questo priva di fascino, cercano di cavarsela. Joe porta sul suo volto i segni di una vita difficile, è il classico uomo che sembra aver imparato la lezione, ma che il destino non vuole lasciare in pace e nel finale, molto classico, cercherà e troverà la sua unica via di redenzione e catarsi.

La linea tracciata da Hawskins in fase di scrittura illumina i fatti di un’America che assomiglia molto al vecchio far west, dove le persone si possono sparare per strada e rimanere impunite e Green, con il suo tocco, riesce a rendere dolenti le interpretazioni dei protagonisti così come le immagini stesse che si soffermano anche su questa natura così forte eppure così oltraggiata; del resto Joe è pagato per uccidere gli alberi, nonostante siano sani.

In un mondo buio, dove nessun personaggio sembrerebbe emanare aspetti “positivi” (torniamo alla guerra tra poveri), Gary cerca la sua strada provando a essere figlio, rinnegando un padre che non lo è mai stato, per trovarne uno che non potrà esserlo ma che lo aiuterà, forse, a diventarlo.

Un film malinconico, pieno di violenza, che non viene mai ostentata perché i personaggi sono realistici e Joe è un personaggio come tanti che, però, non ha ambizioni salvifiche, non vuole salvare nessuno; diventa un riflesso per il ragazzo, anche di quello che non dovrebbe essere, si fa carico di un peso che in precedenza aveva ignorato, guardando il padre naturale picchiare il ragazzo, ed è solo dopo che nascerà in lui un’esigenza di “paternità”.

Joe cerca di rientrare nella norma a fatica, ma ci prova e il film indugia sui suoi reiterati tentativi e in questo senso la faccia, da molti considerata inespressiva, di Cage è più che adeguata e riesce a offrirci un personaggio dolente, sconfitto, ma non domo, generoso, a modo suo buono, ma violento, che nasconde in sé e nel suo sguardo fisso un qualcosa di più di quello che appare.

È un film di reietti, di sconfitti e Gary è l’unica figura che cerca e può uscire da questo destino segnato; in una parte dell’America dove morire in una sparatoria o per mano poliziotta è routine, Sheridan offre il suo giovane e pulito volto ad un personaggio ben scritto, che riesce ad essere la controparte di Joe.

Un film duro, che concede poco allo spettatore, nonostante il finale e una trama di per sé fin troppo semplici; uno spaccato di vita americana di grande forza visiva e di impatto sicuro, che si segnala oltre per una bella fotografia, anche per la prova di Nicolas Cage, tra le migliori degli ultimi anni per l’attore di Long Beach.

Pur non essendo originale, Joe è un prodotto che riesce a lasciare l’amaro in bocca, mostrando le brutture di un’America in cui le diseguaglianze sociali sono enormi, attraverso la storia di un incontro e le evoluzioni di due personaggi molto interessanti.

 

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